lunedì 24 dicembre 2012

...Scammaccando Odisseo



Samuel Butler
Premettendo che non era mia intenzione inoltrarmi nell'avventuroso terreno delle "recensioni", nella precedente nota ("l'Odissea siciliana") mi sono soffermato sulla teoria " rivoluzionaria" di un inglese, Samuel Butler ( esposta nell'Autrice dell'Odis­sea" ), ripresa e sviluppata poi da un professore neozelandese, L. G.Pocock con "L'origine siciliana dell 'Odissea", tradotta da Nina e Nat Scammacca, secondo la quale:
L. G. Pocock
-la maggior parte dei luoghi descritti nell'Odissea corrispondono a Trapani e dintorni ;
-l'autore dell'Odissea doveva conoscere profondamente quei posti ed essere quindi trapanese (una   donna trapanese: Nautica?) .
La nota si concludeva con un rapido cenno alla ricomposizione sistematica della tesi  "siciliana" mirabilmente operata da Vincenzo Barrabini, studioso di casa nostra, passato dall'incredulità iniziale all'interesse e infine allo studio amorevole di una materia così affascinante, capace di suscitare sopite energie e di lievitare fermenti ben al di là della sfera strettamente storico-letteraria.
La stessa curva di sentimenti che mi hanno spinto ad occuparmi della questione, nei...fumi della solenne ubriacatura procuratami dalla febbrile lettura di testi in cui l'illustrazione di luoghi così familiari finiva per ]  immedesimarmi nella vicenda, quasi da protagonista.
E ad un ubriaco cosa vai a chiedere se l'intuizione di Butler, gli assiomi di Pocock o la ricostruzione di Barrabini possano avere o non "validità scientifica”!?
A questo punto, non è tanto la tesi di per se, pur sostenuta con convinci­mento e credibilità, con fede, con gioia quasi infantile,  che più c'interessa, quanto l'aver trovato una leva, un appiglio, uno scoglio cui aggrapparci per non farci sommergere dall'onda dell'abulia e della rassegnazione di oggi, per librarci sulle ali della fantasia che conduce alla realtà, per cantare col nostro professore neozelandese 1’antica gloria, leggenda e mito, per farne il vessillo della riscossa, della rinascita, del riscatto. 
Cosa conosciamo di queste nostro lontane radici?! mi chiedevo, mentre nella mia estemporanea lettura estiva potevo, grazie  alla guida del Pocock, "rivisitare" in simultanea orizzonti e luoghi della giovinezza, allora appena sfiorati da sguardi disattenti quotidiani ignari, ed ora improvvisa­mente divenuti teatro di una vicenda umana, quella di Ulisse-Odisseo, vissuta e narrata migliaia di anni fa, che si rinnova sempre uguale di gene­razione in generazione, perchè in essa puoi ritrovare la cronaca della vita errabonda  dell'uomo di tutti i secoli, e quindi anche della nostra.
E niente o quasi niente abbiamo continuato a conoscere. 
Il nostro Pocock (ma non dimentichiamo Butler e Barrabini!) mette ora a nudo radici sepolte nella stratificazione dei secoli e si affanna a dimo­strarci che sono le nostre: per i Trapanesi di oggi, ormai rassegnati a sentire additata la loro città come la capitale della mafia, ci "sarebbe" ben di che meditare, oltre e più che inorgoglirsi.
Se potessimo contare su una classe politico-dirigente meno impreparata, meno inconcludente, meno impegnata nei giochetti e negli ammiccamenti personali e partitici,meno indaffarata in "affari" più o meno puliti, più sensibile al richiamo ed al fascino dei filoni più genuini della "cultura delle radici”; se i vari sodalizi cittadini che si  sono appiccicati addosso l'eti­chetta e le finalità della cultura al servizio della comunità, non esauris­sero la loro funzione nelle periodiche frivole adunate conviviali, riservate a consociati (e relativo signore) vanesi e boriosi quanto insulsi, gretti e torpidi; se la comunità cittadina, giovani e meno giovani insieme, non fosse ormai incapace di rendersi conto dello stato di degrado in cui è precipitata e di trovare quindi in se il guizzo d'orgoglio necessario per porre mano alla ritessitura di un tessuto ridotto a brandelli; se tutto ciò non fosse un'avvilente realtà, allora sì, si potrebbe sperare che non è stato sprecato l'atto d'amore, la fatica di un esploratore di un lontano continente, venuto fra noi ad inerpicarsi ansante sullo scosceso pendio .di San Cusumano e Pizzolungo alla ricerca di rare pietruzze colorate, frammenti coi quali ricomporre il suo caleidoscopico mosaico del tempo e del mito, alla cui "realtà" poterci aggrappare come naufraghi allo scoglio.
E’ vero, qualche altro benemerito studioso "locale" ha ripreso la teoria di Butler e di Pocock ma non si va oltre l'enunciazione culturale d'elite. 
Manca l'azione, fondamentale, di divulgazione fra i giovani nelle scuole (quanto infinitamente più fruttuosa, in   termini di maturazione civile e culturale, e oltretutto meno dispendiosa, un’escursione -testi alla mano- a San Cusumano, a Pizzolungo, ad Erice, a Castellammare, allo Stagnone, alle Egadi, prima che le ruspe ed il cemento inghiottano tutto nell'ondata  travolgente dell'abusivismo materiale e culturale); mancano approfondimenti e dibattiti a livello "popolare"; non si è colto (e chi se ne occupa!?) lo spunto per un "lancio publicitario" del mito omerico "siciliano" (come del resto di quello virgiliano), presentatoci su un piatto d'argento, un lancio che andasse oltre la toponomastica o gli occasionali richiami delle insegne di ristoranti e fast food o le velleitarie progettazioni di parchi da parte di chi non riesce nemmeno a conferire un aspetto (un look, per dirla col linguaggio di oggi) meno squallido alla stele di Anchise, che ne dovrebbe costituire il nucleo centrale; è mancato uno spruzzo di fantasia, un patto d'impegno civile, una sferzata di orgogliosa dignità, per rifondare una comunità che, dalle scoperte radici del mito-reaìtà,  potesse trarre la linfa per rinverdire il mito di Scheria (Trapani!) "cinta di mura".
Ma, nonostante tutto, Nat Scammacca, e noi con lui, imperterrito invita gli  escursionisti della città ad una scarpinata in montagna (coraggio, bastano buone gambe, scarpe adatte e svegliarsi di buon mattino!), per inerpicarci su quel pendio a rimirare l'azzurro cupo del mare da Cofano alle Egadi, a respirare a pieni polmoni l'aura del Fonte, a ritrovare nascosti sentieri, mentre lui, ansante ma felice, ci declamerà:

"Noi scordati fondatori di Drepanon, noi arrampicatori della
montagna ,noi scalatori della cima ancor prima che gli Elimi
dichiarassero i nostri occhi incantati dal fascino di Venere
 ...il nostro popolo sorgerà dalie ceneri....
 e la nostra volontà antica darà nuova volontà di stare dove
sta la collina,dove la nostra casa sta,dove echi passati
urlano nella notte verdeolivo di vere epiche odisseane,
sempre vivificando questa isola   "

Ecco, parliamo dà Nat Scammacca divenuto, dopo la "scoperta" di Butler e Pocock, il corifeo del racconto siciliano dell'Odissea, che viviseziona a sua volta sposandolo alle ricerche storiche (siciliane, ovviamente!) di cui fra l'altro...si diletta, che fa suo per divulgarlo ed arricchirlo con gli accenti e lo zelo del neofita.
Perchè ?
Ma perchè la storia narrata da Pocock è il racconto stesso delia sua vita, sul quale è "inciampato andando alla ricerca delle mie origini isolane e perciò delia mia identità "siciliana"; un’aspirazione di trovare una "casa" dopo avvenimenti vari e piste false."
Ancor prima di leggere la prefazione alla sua raccolta di poesie (solo alcune delle sue tante, quelle
in qualche modo aventi attinenza con l'Odissea siciliana, SCHAMMACCHANAT, significativanente pubblicata nella stessa veste editoriale e contemporaneamente alla traduzione dell'opera di Pocock, negli appunti che avevo buttato giù per la stesura di questa nota avevo segnato: “Nat = Odisseo”..
E l’accostamento non era arbitrario se lui stesso così ne conclude la presen­tazione : "Se ancor oggi fra i molti popoli ci sono giramondi e viandanti che possono reincarnare lo  spirito dell'antico Odisseo, alla ricerca della sua Isola-Casa attraverso mari e terre,credo che uno di essi potrei essere proprio io."
Nessuno può contestarglielo: basta scorrere la sua biografia, aver seguito la sua vasta e vivacissima produzione letterariail suo impegno "politico", basta intrattenersi con lui, guardarlo direi nel suo aspetto fisico, sentirlo declamare quasi in  trance i suoi versi infiammati di fiamme blu! 
A ben guardare, è vero: ciascuno di noidentro e fuori Scheria-Itaca, ha lasciato senza sapere quando e come  la sua isolaattratto da fallaci miraggi, ed  erra  per il mondo alla ricerca di un inafferrabile domani. 
Ma quanti avranno il lampo rivelatore? quanti avranno ancora l'energia necessaria per drizzare verso Itaca le vele  del  ritorno, su un guscio di noce sballottato dall'ira di Poseidone, insidiato dalle lusinghe della ninfa Calipso o della maga Circe, osteggiato da11' immane Polifemo?  quanti alfine approderanno? quanti oseranno combattervi i "Proci? quanti non preferiranno unirsi a loro per saccheggiare e gozzovigliare nella casa avita di Itaca?
Nat Scammacca ha avuto coscienza di questo errabondo peregrinare, è riuscito ad approdare alla sua Scheria-Itaca  ("dove il sale bianco picchia a ritmi, uno dopo l’altrotamburi che rimbombano da mare a mare"), vi va ritrovando le sue radici dirompendo le zolle petrose del tempo, non si è associato ai Proci, ma li combatte fieramente cantando in versi (l'establishment, i fascisti, la mafia, i  baroni della cultura rappresentati dal Lambruschini del rev. Canonico Fortunato Mondello).
Non è un visionarioun Don  Chisciotte, è Odisseo che dopo la guerra vitto­riosa (una sconfitta!) vuole tornare alla casa (Home) che non ricorda più quale e dove sia; un'amnesia dalla quale può uscire soltanto scavando in se ( "lottando per le radici dell'io") nel baluginare delle nebbie che avviluppano il suo  cammino ("questo lungo cammino non fu soltanto un sogno"), un cammino tormentato ("questi lunghissimi giorni d'erbacce e di cattiveria") lungo il quale trovare alfine ("per il tramite di molti giri"), richiamato dal "destino", una fonte ristoratrice, l'oasi della "sicilianità" ("Sicily for me to be free?), nella quale poter alfine dissetarsi ( "ho scelto le rose"), nella quale poter riconoscere, gioirne e soffrirne ad un tempo, il suo remoto albero genealogico ("il blu si fa profondo e io vedo la moneta “Schammachanat" ).
Un'oasi nella quale si attarda perchè ha da recuperare il tempo perduto (" Oh Cristo! oh Afrodite! quali divinità invocare affinchè tutto questo si rallenti per aver tempo di dimenticare e ricordare chi sono!"), deve "crescere indietro", scavare e scavare e "ritrovare i suoi avi su pietre di tombe annerite"; un’oasi di montagna (" come il Ciclope,l’Ibero Sicano,  io odio la piatta landa, mi attacco alle falde di questa Montagna come un lattante al seno della madre, alla Collina del Bisnonno").
Scava e scava, e la Montagna generosa gli dà alfine la "prova" che cerca: un'antica moneta che raffigura un leone in piedi davanti a una palma dattifera, con la legenda in lettere puniche traducibile (guarda caso: nome e cognome!) in SCHAMMACHANAT  =  Sicilia/Isola del Sole!
E' il segno del destino, la rivelazione delle radici: Odisseo ha ritrovato la sua Isola, può costruirvi la sua Casa, là alle falde del Mnte, dove ricevere Ciclopi, Elimi, Sicani, Fenici, Greci, Arabi, Egiziani, e Dei e Ninfe, intrattenersi con essi, con essi parlando il linguaggio dell'epos, e con essi ricomporre e ripercorrere i sentieri del mito, che è storia.
Il giramondo è giunto al termine del suo girovagare: ora il figlio del Sole è l'uomo del Monte, il guardiano del faro.
A sera, quando la luna avrà girato l'angolo di casa, sciabolerà un fascio di luce, luce blu in cui turbina pulviscolo di stelle, su  Erice,  e giù da Segesta sulla pianura ondulata dove sorge la fattoria di Falezio, e poi su Scheria, sul  Malconsiglio, su Asteride, su Same, su Zacinto su Hiera, sù e giù tutta la notte, finchè "il Sole cambierà l'est in oro".
Ci potete giurare: non parte più!

su questo stesso blog:
- l'Odissea siciliana
- l'Odissea riminata
- Lona e buccetta



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